La strumentale o strumentalizzata querelle sui numeri del tesseramento del Partito democratico può essere lo spunto per andare oltre alle polemiche di giornata per tentare di affrontare un tema che da tempo aleggia nell’aria e a cui proprio l’avvento della stagione renziana pareva in qualche modo aver dato un orizzonte: come sostenere e valorizzare la disponibilità e l’entusiasmo che le persone sono disposte a mettere in campo per occuparsi della “cosa pubblica”? E’ un fatto però che all’interno del Partito democratico questo coinvolgimento non è reso possibile anzi è scoraggiato e anestetizzato. Una volta vinte le primarie Renzi non ha voluto o saputo o potuto cambiare il partito nel senso che molti auspicavano: l’Open Pd non esiste – se non in misura marginale – e a questo punto viene da chiedersi se mai si realizzerà. Parte di quella vague riformista si è spostata nell’azione del Governo ma il partito è rimasto sostanzialmente uguale a se stesso. Forse senza rendersene conto – oppure rendendosene perfettamente conto e utilizzandolo a suo vantaggio – Renzi con la sua sfida ha dato la stura ad un vastissimo movimento di idee e sentimenti che oggi non trova continuità nel partito e più in generale nella politica tradizionale. Trovare soluzione a quest’empasse sarebbe uno dei migliori servizi tanto a quelle idee quanto a Renzi stesso magari andando oltre alla caricatura che vede “piccoli fans” contrapposti a “gufi rosiconi”.
Una realtà perfettamente incastonata nella situazione nazionale in cui, a causa da un lato della crisi di credibilità e dall’altro di un forte deficit organizzativo, i partiti non riescono o non dimostrano interesse nei fatti a controllare le proprie diramazioni affidandole a piccoli o grandi potentati locali a cui viene data, quasi si trattasse di un franchising, la gestione di un marchio con pochi e labili vincoli ideali e scarsissima possibilità di reale indirizzo e tanto meno di verifica. Allargando lo sguardo oltre gli angusti confini dei partiti pare evidente la mancanza di spazi adeguati alla partecipazione con una situazione che diventa drammatica al di fuori delle aree metropolitane dove sono particolarmente carenti luoghi e momenti che esplicitino la vocazione a favorire il protagonismo dei cittadini.
Senza scomodare gli studiosi della materia è evidente come i tradizionali corpi intermedi – non solo i partiti ma i sindacati, le rappresentanze di categoria e più in generale il mondo dell’associazionismo – stiano subendo l’onda di disintermediazione messa in atto dalla micidiale mistura tra il web 2.0 e la gestione personalistica del rapporto tra politica e cittadini. Quello però che sfugge in questo contesto è come si possa realizzare la tanto auspicata riscossa civile senza il reale e partecipato coinvolgimento delle persone partendo dal basso, senza affiancare tweet, selfie, e dirette streaming a contenuti frutto di studio e approfondimento, risultato della promozione di competenze collettive.
Un possibile viatico potrebbe essere quello di sostenere a livello territoriale il germogliare di esperienze di attivismo civico non legate per forza alle forme partitiche tradizionali ma con esse eventualmente raccordate a livello nazionale supportando il fluire delle idee e delle proposte e la loro messa in pratica con azioni concrete. Il tema della partecipazione è complesso perché si compone di molteplici profili: dalla partecipazione dei cittadini alla decisione politica e amministrativa, alle condizioni che la rendono possibile e cioè la trasparenza nei rapporti tra i cittadini e le pubbliche amministrazioni e l’accessibilità delle informazioni. Qua e la per l’Italia esistono realtà che hanno sperimentato la cosiddetta democrazia partecipata: si tratta di liste civiche propriamente dette – e non liste civetta che sfruttano il nome del candidato sindaco per poi sciogliersi un minuto dopo le elezioni – oppure di gruppi di cittadini che promuovono, sul modello proposto da Cittadinanza Attiva, processi di analisi critica e sistematica dell’azione delle amministrazioni pubbliche nelle varie fasi di gestione dei servizi. La valutazione si basa sul reperimento di dati oggettivi attraverso i quali viene formulato un giudizio sui servizi, punto di partenza per eventuali miglioramenti. Il più delle volte si tratta di realtà discontinue o legate a particolari esigenze del territorio che le esprime o che si reggono su rapporti convenzionali con – poche – amministrazioni particolarmente illuminate segno che la strada di pieno coinvolgimento diretto dei cittadini nella gestione della “cosa” pubblica è ancora lunga.
Alessandro Prandi
Pubblicato su ateniesi.it il 9 ottobre 2014
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